Il Calafato
Il Calafato
Il Calafato
Le attività legate al Mincio e alla valle richiedevano l’utilizzo di imbarcazioni di diverse tipologie a seconda dell’utilizzo a cui erano destinate. C’erano le barche utilizzate dai pescatori e quelle utilizzate per il trasporto della canna palustre e della carice. Per questo motivo a Rivalta sul Mincio non poteva mancare la figura del calafato, professione artigianale, ormai scomparsa, che si dedicava alla costruzione delle imbarcazioni. A Rivalta due sono state le figure più importanti che hanno esercitato la professione: il maestro d’ascia Mendes Baratti e Giovanni Stocchi.
La Gabarra
La Gabarra (Batèla)
Era un’imbarcazione a fondo piatto utilizzata dai raccoglitori delle erbe palustri e serviva per trasportare il materiale dal punto di raccolta, in Valle, sino a riva. Lunga 7 metri e larga 1.80 circa, era costruita in legno di larice e rovere, ed era capace di grandi carichi. La gabarra, era caratterizzata dalla prua (culonba), a forma di coda di colombo e dalla poppa terminante a punta. Cosparsa di pece per renderla impermeabile e per proteggere il legno, era completamente nera. Nel periodo di inattività veniva ricoverata all’asciutto e i suoi componenti in legno, contraendosi, allargavano gli interstizi tra le tavole in cui era pressata (calcada), la canapa (stopa), di calafataggio. Per questo, l’imbarcazione, alcuni giorni prima di essere riutilizzata, veniva immersa nell’acqua per ripristinarne la coesione e la tenuta (stagnadüra). Veniva spinta con il remo (rem), alla “veneziana” o con il puntale (puntàl). Il primo, utilizzato dove il fiume garantiva maggior spazio, aveva la pala in legno di noce fissata ad un lungo palo di salice bianco che doveva essere molto flessibile, altrimenti la “batéla” non sarebbe andata avanti. Il puntale, invece, veniva usato per spingere la barca in mezzo ai canali, dove non c’era spazio per remare. Il puntale non si appoggiava allo scalmo (fürcula), ma andava spinto nell’acqua con forza fino a fargli toccare il fondo.