La carice

La Carice

La carice (careşa), carex elata e carex riparia, è l’altra pianta che, tradizionalmente, veniva raccolta nel periodo estivo a Rivalta sul Mincio e in poche altre zone limitrofe. Ha rappresentato, dopo la raccolta della canna palustre, la coltura di maggior interesse economico per il nostro paese. Persino il Conte Luigi D’Arco, naturalista mantovano, realizzò nel suo Erbolario una sezione dedicata a questa pianta, riuscendo a classificarne una trentina di specie. La carice si presenta come un ciuffo di fitte foglie molto resistenti e taglienti, lunghe circa un metro e mezzo e larghe almeno un centimetro. Come per la tifa, altra erba palustre, anche per la carice è il maschio, riconoscibile per le infiorescenze a forma di spiga, che viene sempre scartato. Questo è inutilizzabile perché ha il gambo duro. La coltivazione era strettamente legata al governo delle acque. La valli di carice venivano ricoperte da quindici/venti centimetri d’acqua, da febbraio ad agosto, proprio come una risaia, favorendo, tra l’altro, un ecosistema ideale per i pesci e gli uccelli. Il taglio veniva effettuato esclusivamente a mano servendosi di un falcetto (mesurèl) e i mazzi (pinòt oppure li branchi se più piccoli), dopo essere stati legati alla base, venivano caricati sui battelli a fondo piatto, (batèli), e portati a riva. Successivamente, venivano ripuliti dalle erbe infestanti ed essicati al sole per un paio di giorni. Quindi, dopo la pettinatura (cul pètan), con cui si ripuliva la carice dai fili rotti o piegati, la stessa veniva nuovamente legata in mazzi per essere lavorata. A differenza della canna palustre, che veniva in gran parte lavorata a Rivalta, la carice veniva, prevalentemente, venduta come semilavorato alle aziende che impagliavano sedie oppure fiaschi di vino. L’abbandono della coltivazione della carice, dovuto all’introduzione dei materiali sintetici e alla nascita di nuovi mestieri, ha provocato sia la scomparsa di una manifattura artigiana di primaria importanza, sia un severo impoverimento dell’ambiente naturale, lasciando ampi spazi di valle all’inevitabile e lento interrimento e all’abbandono.