La Pesca

L’arte dei pescatori

Non è facile stabilire con precisione quando sia iniziato lo sfruttamento intensivo della Valle, tuttavia si può affermare con certezza che a Rivalta la pesca è sempre stata praticata. Documenti della fine del 1200 attestano, attraverso regolamenti e concessioni, la disciplina dell’attività denominata l’Arte dei Pescatori. La grande ricchezza di pesce permetteva di pescare sia per il commercio che per sfamare le famiglie: “na branca ad saltarèi” (una manciata di gamberetti di fiume) o “na spadlada ad varun” (una padella di pesciolini) consentiva a tutti di risolvere il problema dei pasti. Nel 1914 fu costituita la cooperativa dei pescatori del Lago Superiore, attiva fino al 1991, costituita nei periodi di massima attività da 30 – 40 soci originari di Rivalta sul Mincio, Grazie e Borgo Angeli. I pescatori erano uomini ruvidi, abituati alla taciturna pazienza, che conoscevano tutto del fiume e che cambiavano tecniche di pesca a seconda dell’altezza delle acque, delle stagioni e delle abitudini dei pesci. D’inverno usavano le reti, in particolare la volantina (ulandina) e il tramaglio (rè), mentre d’estate usavano i bertovelli (tanbürèi), che venivano tessuti dalle donne con la canapa e armati dai pescatori con cerchietti e rami di salice. Un lavoro davvero impegnativo se si pensa che da aprile a settembre un pescatore riusciva a calare anche 500 – 600 bertovelli e ne governava anche 70 – 80 al giorno. L’avvento del nylon, attorno agli anni 50, alleggerirà il lavoro per tutti.

La pesca con le mani – Testimonianza di Erineo Bevini tratta dalla pubblicazione “Terra e Acqua” di Giancorrado Barozzi del luglio 1997

“…la tinca d’inverno è “piantata” nel fango. Si vede il buchino dove respira, è coperta di fango e non tutti sono in grado di riconoscerla. Dove c’è poca acqua si riesce ad afferrarla con le mani nude (manà), prendendola dalla testa che è sempre rivolta a mezzogiorno. Non si può sbagliare. A Rivalta c’era “Cül d’or”, Giulio Frigoni, che andava a pescare con le mani: palpava nel fango finchè non arrivava vicino ad una tinca e con un colpo fulmineo la catturava. Un giorno l’ho visto uscire dal canneto, nudo come sua madre l’aveva fatto (nud ad màdar), tutto coperto di fango come se fosse stato vestito. Avrà avuto una quindicina di tinche appena catturate: un vero fenomeno.

La pesca e le fasi lunari

Nonostante possa sembrare strano, le fasi lunari influivano molto sull’esito di una battuta di pesca: durante il plenilunio il pescato poteva ridursi anche del 50%. Secondo i pescatori più esperti, con il chiarore lunare, i pesci erano in grado di distinguere le insidie, evitandole.

La “Cumpagnia”

Il pescatore, nel rispetto delle leggi, doveva pescare da solo. Le Autorità ammettevano un’eccezione solo nel periodo natalizio, quando concedeva ai pescatori di fare “cumpagnia” (compagnia). I pescatori potevano raccogliersi, fino a 30 – 40 persone, sul Lago Superiore mettendo in comune le reti per catturare “al bransin” (persico reale), piatto tradizionale della Vigila di Natale. Il ritorno a Rivalta dopo la battuta di pesca rappresentava un momento di festa. Gran parte del paese attendeva con eccitazione il ritorno dei pescatori per commentare la giornata e confrontarne le catture. Al giorno d’oggi questo può far sorridere ma non ci dobbiamo dimenticare che Corte Mincio, a quei tempi, rappresentava la vera e propria piazza del paese, luogo d’incontro e socializzazione.

La Cooperativa dei pescatori del Lago Superiore

Nel ‘900, due furono le Cooperative dei pescatori operanti nei tre laghi virgiliani: quella del Lago Superiore e quella dei Laghi Inferiori, entrambe associate al Consorpesca di Roma. La Cooperativa del lago Superiore era composta da una trentina di soci provenienti dalle zone di Rivalta, Grazie e Borgo Angeli. Erano tutti professionisti che amavano il proprio lavoro “…….ed erano animati dal comune desiderio di vedere la propria Cooperativa primeggiare sia nel settore organizzativo che in quello produttivo”. Vendevano pesce di qualità sui mercati ittici di tutta Italia, al contrario della Cooperativa dei Laghi Inferiori la cui attività, invece, iniziava a subire le conseguenze dell’inquinamento. Fiorella Rottiglio figlia di Pierino, pescatore e socio della Cooperativa del lago Superiore, ci racconta che le zone di pesca venivano affidate ai soci tramite estrazione a sorte. Tutto questo succedeva, all’inizio di ogni anno, presso lo stabile dell’ex dopolavoro di via Gramsci a Rivalta sul Mincio, dove i pescatori si riunivano. La Cooperativa del Lago Superiore fu costituita il 6 dicembre 1914 e si sciolse definitivamente nel 1991, quando la pesca cessò di essere essenziale per le famiglie e si trasformò in attività dilettantistica legata al tempo libero e al piacere di immergersi nella natura.

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Testimonianza di Fiorella Rottiglio classe 1952, figlia e nipote di pescatori professionisti. Ottobre 2021

Fiorella ci racconta la vita da pescatore del padre e del nonno con gli occhi di una bambina di 7 anni, verso la fine degli anni ’50. “La mia famiglia è sempre stata profondamente legata al Mincio. Mio padre, socio della cooperativa dei pescatori del Lago Superiore, ha sempre esercitato la professione di pescatore con grande passione. Una vita dura: si partiva alla mattina presto, uno sguardo al cielo per capire come poteva evolvere il tempo e si rimaneva in valle fino al tardo pomeriggio. Il caldo e le zanzare oppure il freddo, non erano certo un buon motivo per rientrare anticipatamente. Mi ricordo quanto soffrissi l’assenza di mio padre, di giorno al lavoro e la sera, immancabilmente, all’osteria con gli amici. A quel tempo andava così. Per questo, nel periodo estivo, supplicavo mio padre perché mi portasse a pescare con lui. Quando succedeva ero felicissima: si partiva alla mattina presto quando era ancora buio e ricordo, nitidamente, quanto fosse meraviglioso vedere sorgere il sole in mezzo alla valle. Sentire la natura risvegliarsi con i canti degli uccelli e i suoi profumi meravigliosi. Sempre in rigoroso silenzio, per non sentirsi dire quello che non avrei mai voluto: “la prosima vólta ta stè a cà”. Non ci crederete, ma l’altra occasione che mi rendeva felicissima era quando pioveva. Per me e mia sorella erano giorni di festa perchè mio padre rimaneva un poco di più in famiglia. Nel periodo autunnale non andava a Belfiore sul lago Superiore a pescare con i colleghi (a fare “cumpagnia”), perciò capitava spesso che, al mattino, ci accompagnasse a scuola e al pomeriggio rimanesse a casa a rammendare le reti mentre noi facevamo i compiti. Nelle serate estive, invece, l’occasione era buona per andare tutti insieme a raccogliere i vermi, “i bèch”, che mio padre avrebbe utilizzato i giorni successivi come esca, per catturare le anguille con la “dirlindana”.

Il “Pescauova”, una pesca davvero singolare

Nei canali del Mincio e nelle acque del Lago Superiore, era diffusa la pratica di “pescare” le uova di selvatici giacenti sul fondale. Erano le uova che le femmine degli uccelli acquatici perdevano perché inseguite dai maschi oppure quelle che venivano abbondonate perché non fecondate e non “buone per la cova”. Per poterle raccogliere, senza romperle, ci si serviva del pescaőf, un ingegnosissimo strumento (riprodotto nella foto sotto) ricavato da una canna palustre la cui estremità veniva incisa e tenuta aperta da minuscoli pezzetti di canna. Questa, una volta afferrato l’uovo, si richiudeva a molla e in questo modo si riusciva ad estrarlo dall’acqua.

Il Luccio

Feroce e scaltro predatore, ingaggiava con il pescatore delle vere e proprie sfide d’astuzia. Per catturarlo si usava la “dirlindana”: assicella in legno dalla quale si srotolava un filo in rame con attaccati, all’estremità, i pesi e il cucchiaino. Questo nascondeva un’ancorina a tre punte che non dava scampo al luccio. La dirlindana è un attrezzo molto semplice ed è l’abilità del pescatore a renderlo efficace: si lasciava scendere la barca con la corrente e ogni tanto si dava uno strattone al filo facendo roteare il cucchiaino, il cui luccichio lo faceva assomigliare al ventre di un piccolo pesce. L’operazione solitamente si ripeteva alcune volte finchè il luccio inghiottiva l’esca ingaggiando con il pescatore una dura lotta per la sopravvivenza. Qualche volta riusciva a strattonare così forte da rompere il filo e scappare, molto più spesso stremato “perdeva il fiato” e mentre saliva in superficie, il pescatore affondava la mano nell’acqua conficcandogli le dita negli occhi issandolo sulla barca. Prelibatezza gastronomica, il luccio, era cucinato alla “rivaltese”: in “bianco” o in salsa, in tutte le famiglie e nelle diverse osterie e trattorie un tempo presenti nel nostro paese. E’ la pietanza che ha reso famosa Rivalta sul Mincio e i suoi ristoranti per tanto tempo, attirando commensali anche dalle province limitrofe. Sono ricette espressione e memoria di uno stile di vita di un’intera Comunità, per questo sono da tempo inserite nell’apposito registro regionale dei “Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Lombardia”. I due piatti hanno ottenuto, recentemente, un ulteriore e importante riconoscimento: la Denominazione Comunale (De.co), per tutelarne la tipicità propria del territorio rivaltese.

Le osterie del paese – Testimonianza di Fiorella Rottiglio classe 1952, figlia e nipote di pescatori professionisti. Ottobre 2021

“……….Ricordo benissimo quando il primo giorno di quaresima (mi sto riferendo ai primi anni ‘60 del novecento) Rivalta sul Mincio si riempiva di belle macchine da dove scendevano signori e signore benvestiti della “Mantova bene”. Sceglievano le trattorie e le osterie del nostro paese per mangiare i nostri prelibati piatti a base di pesce per cui Rivalta era rinomatissima e conosciuta anche oltre provincia. Mi ricordo via Voltazzola, ora via Arrivabene, animata da persone che andavano a mangiare all’osteria dei Goldoni. Io abitavo poco lontano e nei miei ricordi di bambina osservare tutto quel viavai era un’attrazione imperdibile. La stessa scena si ripeteva all’albergo dell’Angelo e alla trattoria Guarnieri, “quela dl’Ardemia”, di via Chiesa, ora via Turati, oppure alla trattoria “al Pescatore” di Pezzini Battista di via Francesca vicino alla quale, fino agli anni 80 del secolo scorso, esisteva la pesa pubblica da sempre gestita da Angela Bartoli.

Testimonianza di Graziella Guernieri nata a Rivalta sul Mincio il 4 marzo 1949 e Cesare Goldoni nato a Rivalta sul Mincio il 16 gennaio 1941. Giugno 2022

Andiamo da Graziella e Cesare in una sera dei primi giorni di giugno e ci accolgono a casa loro offrendoci, nel rispetto della migliore ospitalità rivaltese, pane, salame e un buon bicchiere di vino. Così iniziamo, chiedendo di condividere i loro ricordi. Senza aver concordato nulla di specifico in anticipo, parliamo e scopriamo con grande piacere e sorpresa che i loro ricordi sono, principalmente, legati alla tradizione gastronomica rivaltese degli anni d’oro. Cesare ricorda gli zii Ildebrando e Maria, gestori della trattoria dei Goldoni di via Voltazzola, l’attuale via Giovanni Arrivabene, quando a gran voce richiamavano l’attenzione dei ragazzini della via perché li aiutassero a “fulà” (a pigiare l’uva nella bigoncia). Graziella, invece, per uno dei frequenti errori di trascrizione anagrafica, è una Guernieri figlia di Giovanni Guarnieri e Ancilla Rosa Elsa Agosta detta “Ardemia” e nipote di Oreste Guarnieri, gestori dell’omonima trattoria di via Chiesa ora via Filippo Turati (di fronte all’attuale tabaccheria). Anche Graziella è desiderosa di farci conoscere gli episodi del passato a cui è particolarmente legata e ci racconta dell’attività dei suoi genitori ricordando il primo giorno di Quaresima che, per Rivalta, era un giorno davvero speciale. “…………….veniva gente da tutte le parti. A Mantova tutte le attività chiudevano e Rivalta era invasa da persone provenienti da tutta la città, dalla provincia e non solo , che raggiungevano il nostro paese per mangiare il luccio alla rivaltese. Quel giorno “a Rivalta as pasava mia”, a Rivalta non si passava per il traffico che c’era. I miei genitori cucinavano il luccio in tutti e tre i modi: in salsa, in bianco e all’aglione, con aglio e prezzemolo. A mio parere la ricetta che più caratterizza la gastronomia rivaltese è quella del luccio in bianco con abbondante grana padano, da nessuna altra parte esiste una ricetta simile. Quella storica e della vera tradizione, invece, è quella del luccio all’aglione: una ricetta povera, fatta con ingredienti essenziali, sicuramente la ricetta più antica che veniva preparata in tutte le case dei pescatori. Quello in salsa, invece, veniva preparato in diversi modi a seconda dei gusti personali: ogni famiglia aveva la propria ricetta e veniva cucinato in varie parti della provincia mantovana. I miei genitori, oltre ai fritti di pesce e all’anguilla, cucinata rigorosamente alla brace, erano specialisti nel cucinare il pollo alla cacciatora, gli uccellini e le tagliatelle con la selvaggina che acquistavano direttamente dai cacciatori. Le trippe erano la specialità del sabato. Questo giorno della settimana era particolare per i lavoratori della valle, soprattuttoi per “canaröi e carşèr”, perché festeggiavano la riscossione della paga settimanale bevendo un “bicchierino” al bar con gli amici oppure mangiando le trippe in trattoria. Anche dall’Ardemia, dal pomeriggio fino a sera, era tutto un via vai di persone, molte delle quali arrivavano con il loro pentolino “al tegin” che riempivano di trippe per mangiarsele comodamente a casa. Dovete sapere che la trattoria “d’la Ardemia” non era strutturata come i locali che si conoscono attualmente. Appena entrati, la prima cosa che si notava era la “vinera”, una vasca in rame battuto incorporata in un ripiano in marmo dove si lavavano i bicchieri. All’epoca non esisteva l’acqua corrente e questa veniva cambiata ogni volta che era necessario. C’erano una cucina senza tanti fronzoli, un’altra stanza con la stufa a legna dove mio nonno Oreste faceva la polenta, una sala da pranzo al piano terra e una al primo piano utilizzata da chi desiderava una sistemazione più riservata. Questa saletta è stata occupata molto spesso dai giocatori del Mantova, per intenderci il “Piccolo Brasile”, la squadra dei campionati di serie A. Tra i giocatori ricordo molto bene un giovanissimo Dino Zoff che diventò “portierone” della Juve e dell’Italia campione del Mondo nel 1982. In un’altra stanza avevamo una delle primissime televisioni presenti in paese. Alla sera avevamo sempre molti ospiti, anche famiglie intere, incuriositi da questo nuovo marchingegno. Il pienone, però, lo si raggiungeva durante le sere del Festival di Sanremo. Sul retro avevamo un bellissimo pergolato con la vite e il campo da bocce. Un’ultima cosa vorrei dirvi prima di salutarvi. Noi che non siamo più giovanissimi abbiamo l’abitudine di mettere in dubbio le capacità, l’intelligenza e la sensibilità della nuove generazioni, ma non è giusto. Di questi ricordi sono al corrente anche i miei nipoti e una in particolare, Anna poco più che dicottenne, un giorno è venuta a trovarmi con un quadernetto chiedendomi di dettarle le ricette del luccio alla rivaltese mettendosi subito alla prova in cucina con ottimi risultati. La cosa che mi ha fatto più felice è stata avere la certezza che la tradizione del luccio “dl’Ardemia” e di Rivalta andrà avanti ancora per un bel po’ di tempo.”

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